sabato 24 maggio 2008

VIVERE


VIVERE!
è passato tanto tempo
VIVERE!
è un ricordo senza tempo
VIVERE!
è un po' come perder tempo
VIVERE....e Sorridere dei guai
così come non hai fatto mai
e poi pensare che domani sarà sempre meglio
OGGI NON HO TEMPO
OGGI VOGLIO STARE SPENTO!

Vivere!
e sperare di star meglio
Vivere
e non essere mai contento
Vivere
come stare sempre al vento
VIVERE!......COME RIDERE!!!

VIVERE!
anche se sei morto dentro
VIVERE!
e devi essere sempre contento!
VIVERE!
è come un comandamento
VIVERE..... o SOPRAVVIVERE....
senza perdersi d'animo mai
e combattere e lottare contro tutto contro!.....
OGGI NON HO TEMPO
OGGI VOGLIO STARE SPENTO!.....

VIVERE
e sperare di star meglio
VIVERE VIVERE
e non essere mai contento
VIVERE VIVERE
e restare sempre al vento a
VIVERE.....e sorridere dei guai
proprio (così) come non hai fatto mai
e pensare che domani sarà sempre meglio!!!!!

VASCO.



lunedì 19 maggio 2008

DOMENICA 18 MAGGIO

Domenica 18 maggio, ancora di fronte una lunga e noiosa domenica senza sole.
Il vento muove le foglie degli alberi. Foglie verdi, brillanti. Foglie nuove, che nulla hanno a che fare con quest'alito freddo.
É maggio ma sembra ottobre, la bella stagione sembra essere intenzionata a farsi aspettare quest'anno e da un paio di settimane il tempo grigio rispecchia il mio umore. Che sia la mia vita a essere rimasta senza luce?
Guardando dalla finestra vedo una coppia di ragazzini che si bacia sul marciapiede di fronte, e mi rendo conto, dopo un anno che vivo qui, che questa strada é in pendenza: le strane coincidenze della vita.
Giá, la mia vita, mai che possa essere un cammino in pianura, mai che la strada possa essere facile, devono sempre presentarsi bivi, salite, ostacoli.
Anche i gabbiani sono inquieti, e anche loro, come me non sanno che fare, che direzione prendere, che vento seguire. A volte mi fermo a osservarli e penso che vorrei essere come loro: liberi, pellegrini che viaggiano da un porto all'altro del mondo, senza un perché, senza una ragione, senza una meta prestabilita, seguono l'istinto e non si chiedono se le loro scelte li porteranno a essere più o meno felici, sanno che ci sará sempre un porto dove troveranno riparo e conforto, sanno che potranno sempre condividere il viaggio con altre anime libere come loro, sanno che la loro natura é quella di scegliere continuamente da che parte stare, quale orizzonte guardare, e tanto gli basta, e io?

mercoledì 7 maggio 2008

TERRA DI CONFINE

Il confine era polveroso, come lo era sempre stato, anche se quel giorno sembrava un po' piú sbiadito del solito.
Il sole aveva consumato la linea che delimitava la mia cittá giá da quando...non so, in realtá per quel che ricordo l'ho sempre vista slavata e incerta, tanto che un giorno pensai che magari l'avevano disegnata cosí.
Non sapevo se ero io o se era il vento che soffiava e si portava via i contorni delle cose, mischiando tutto in una sorta di realtá inafferrabile, ma quel giorno, se possibile, tutto mi pareva ancora piú esile ed effimero. Il vento stava cambiando. Qualcosa doveva succedere.
Il confine aveva sempre delimitato la nostra identitá, chi lo passava era fuori, e ci si poteva scommettere sul fatto che non sarebbe tornato piú, mentre quelli che lo avevano varcato per venire dentro si contavano sulle dita di una mano, per lo piú gente di passaggio, viaggiatori smarriti in mezzo al deserto alla ricerca di se stessi, incrociavano il loro cammino con il nostro e veloci e disperati come erano arrivati ripartivano su strade sterrate in cerca di un punto d'arrivo, senza mai darsi la pena di osservare quello che gli scorreva sotto gli occhi durante il viaggio, senza mai capire che il cammino era la vera meta.
Il caldo era opprimente, forse era l'estate piú torrida da molti anni, forse la piú silenziosa: anche i coyote erano troppo spossati per farsi sentire, e il vento non dava conforto, anzi la sabbia che portava con sé graffiava il viso e toglieva il respiro.
La quiete arrivava ad essere insopportabile, interrotta solo dal cigolio del cartello che indicava ai passanti il nome di quell'assurda cittá, mare senza alcun porto, terra arida, dove da un pezzo non nasce più la vita. O almeno cosí credevo.
Come spesso accade nei paesini come il mio la gente si riuniva fuori dalle case, tutti seduti su sedie di legno, gli uomini a bere vino e giocare a carte, le donne a cardare la lana per l'inverno, mentre i bambini scorazzavano per la piazza.
Quando accadde io mi trovavo lí, a giocare a tresette con lo sceriffo. E successe, senza nessun preavviso, mi colse del tutto impreparato, ma é cosí che agisce il destino: lo cerchi per una vita intera e quando lui ti trova non sai che dire.
E infatti fu lei a parlare per prima.
Mi vide, le sorrisi, lei pure sorrise, e all'improvviso successe quello che aspettavo da sempre; il vento cambiò e da quel momento non si poteva più tornare indietro.
Lei inizió a raccontarmi la sua storia, e all'improvviso mi sembrò di capire cos'era che avevo sempre cercato. Era come se al mondo fossimo solo io e lei, come se tutto attorno a noi fosse scomparso, assorbito da un'improvviso cratere apertosi nella terra e questo fosse l'unico modo per tenerci in vita. Io e lei, e nessun'altra creatura concreta.
Lei la viaggiatrice, io che non avevo mai avuto il coraggio di passarlo quel maledetto confine.
Lei la misteriosa ragazza di cittá, che aveva grattacieli e autostrade fotografate negli occhi, io la faccia del deserto.
"Quando sono partita cercavo un posto dove poter correre a piedi nudi nell'erba, ascoltare il rumore del mare, vedere le gocce che cadono sulle foglie, guardare i gabbiani volare in alto e chiedermi dove li porterá il vento" mi disse, "ma mi sono resa conto che queste cose non le ho mai avute e non le avró mai. Ho visto quasi tutto il mondo per rendermi conto che quello che cerco cosí disperatamente non esiste in nessun luogo, ma solo dentro di me, per comprendere che gli uomini scappano da se stessi per paura di incontrarsi.
Io cerco me stessa per paura di non riconoscermi, ed è per questo che non mi posso mai fermare.
Questo luogo non ha storia, non ha memoria, non é segnato nemmeno sulle carte, e tu, tu sei l'uomo che ho sempre visto nei mie sogni: le mani rovinate dal sole e dal lavorare la terra morta, le rughe del viso bruciate dal caldo dell'estate e dal freddo dell'inverno, e quegli occhi che conoscono solo il deserto, e che in un pugno di sabbia sanno leggere infinite storie.
Io ho visto grattacieli, gente vivere in capanne, bambini dividere l'unico pezzo di pane e uomini ammazzarsi per il petrolio, ma in niente sono riuscita a trovare un senso.
Ho visto tutto e non conosco niente, tu non hai mai visto niente peró comprendi l'essenza di tutte le cose. I miei occhi riflettono le mie avventure, i tuoi la tua saggezza. Tu che non hai mai oltrepassato questa linea di confine, io che ho conosciuto il mondo in lungo e in largo.
Il giorno dopo partimmo alla ricerca di noi stessi, finalmente passai il maledetto confine e la mia vita non poté piú essere quella di prima, era arrivato il momento di vedere con i miei occhi, e di raccontare a lei il senso di ogni cosa.
Quando incontri il tuo destino non puoi piú tornare indietro e non ti resta altra possibilitá che iniziare ad accettare la continua ricerca di te, fino al limite, in una terra di confine.

venerdì 2 maggio 2008

CIELO SIN ESTRELLAS CIELO SIN ALMA

Aquella noche el cielo era de un negro uniforme, como una lastra de mármol, sin un rasgo de luz, cielo sin estrellas cielo sin alma, como si estuviera reflejando las sensaciones de Gemma.
No sabía porque se sentía así ¿no debería sentirme feliz? Pensaba.
Acababa de conocer el hombre de su vida, de ver realizarse su sueño: encontrar alguien que la amaba, alguien que quería ser amado, pero él estaba en retraso, y la espera la estaba poniendo nerviosa, algo chocaba en aquella situación de paraíso.
Conocía aquel hombre solo de ayer, pero era como si se conocieran de siempre y le daba una sensación de confianza, no parecía el tipo de hombre que te dejan plantada, entonces ¿Por qué todavía no había llegado? ¿Dónde estaba, que había pasado?
Llevaba esperando casi una hora, y de él ni sombra, pero le quedaba el olor de su piel en las narices, y la sensación maravillosa de sus manos que corrían por su cuerpo, y su sonrisa gradaba en los ojos: recuerdo de la noche anterior, cuando se encontraron, se conocieron, olvidaron sus respectivas vidas por una noche y se amaron hasta el amanecer.
Nunca le había pasado en su vida conocer un hombre como él, no solo por su sonrisa tan bonita, ni por su manera de ser tan sencilla y tan misteriosa al mismo tiempo, hombre de esta madera hay algunos, no muchos, pero a veces se pueden encontrar, pero él había, no, era, todavía algo más.
Le entró dentro. Su ser tan directo y su falta de miedo a enseñarle su alma, su ser si mismo, siempre, también con ella, una desconocida, una chica mucho más joven e ingenua, pero, quizás, la única en grado de comprenderle, la única para la cual ser si mismo no era un esfuerzo, sino una liberación.
Habían hablado.
Había sido como cuando el cielo habla con la luna, como el viento con la tierra, como una madre con el hijo que tiene en grembo, como dos amantes, como dos amigos.
Eran dos almas gemelas.
Lo habían entendido desde el primer momento en que se vieron, cuando sus miradas se cruzaron y sus vidas ya no podían volver a ser las mismas.
Aquella noche el tiempo pasaba despacio, como en una pesadilla, Gemma seguía esperándole al puerto, donde la mañana se habían dato cita para verse otra vez, y disfrutar de la compañía el uno del otro, y respirarse la piel, y comerse las lágrimas…pero él no llegaba.
Empezaba a sentir frió: la niebla se levantaba del mar como una manta que intente cubrir con su abrazo glacial toda la ciudad, y de allí Barcelona lucía de un brillo desconocido, nuevo, misterioso ¿o era ella que miraba las cosas con ojos distintos?
Quizás, ojos de enamorada.
Ojos que pueden encontrar la felicidad solo mirando otros ojos, como en un espejo.
Gemma tenía en las manos una bufanda azul que él le había dejado aquella mañana para abrigarse por el viento, repensándolo había sido muy cariñoso por su parte.
No obstante el hielo no quería ponérsela, no quería confundir el olor que desprendía con otros banales olores que no le pertenecían, olores que la dejaban enganchada a su vida de siempre, quería que el perfumen a mar de Paco la acompañase para toda la noche, para el resto de su nueva vida.
Las estrellas quedaban escondidas, el viento le rascaba el rostro y estaba extenuada, llevaba casi toda la noche esperándole en el puerto.
Ahora estaba sentada en un rincón, pensando en él, en su cercana llegada, soñando con sus manos que se le acercaban a la cara e le acariciaban las mejillas, con su boca mientras le besaba, con su cuerpo fuerte mientras la abrazaba y la amaba, y le devolvía la vida, con su alma, mientras se fundía con la suya.
Se acercaba otro amanecer, esta vez sin él.
Gemma se levantó, no había venido y no iba a venir.
Que ingenua había sido, como había podido pensarlo, probablemente un hombre así tenía familia, una mujer mucho más guapa, un par de hijos, cosas más importantes que una chica de 23 años conocida por casualidad una noche de febrero.
Se acercó a la terraza: daba al mar, quería mirar el sol nacer.
Era exasperante saber que mientras su alma se moría el mundo seguía con vida. Todo quedaba allí, en una lagrima, su mano dejó caer lentamente la bufanda azul, deshaciéndose de todo, ahora solo quería olvidar, curar cuanto antes la herida.
Cuando su mirada se paró hacia el mar rompió a llorar.
Se sentía desesperada, abandonada, todo había sido la ilusión de un momento, como las estrellas fugaces del verano, como una flor de campo en una tormenta.
Nunca había pensado en serio en una vida juntos, nunca se había interesado de verdad en ella, desde el primer momento todo había sido una inmensa mentira, había actuado solo para que se acostara con él, como un araña a caza de su apetitoso mosquito, había tejido su telaraña sin amor, sin pasión y ella había caído en su engaño.
Nunca la había amada.
Gemma no paraba de pensar que el amor no podía existir.
Si solo hubiese sabido que él había muerto corriendo a por ella…