domenica 28 febbraio 2010

E adesso dove sei Ubaldo?!?

Discoteca, l'una passata di un sabato notte. Folla danzante in delirio su una base di musiche afro.
Mi piacerebbe dire locale pieno di fumo che confonde le cose e le rende più misteriose, avvolte dal velo di nebbia che mostra solo ciò che appare, ma da quando esiste la legge antifumo non è più credibile.
Il livello alcolico è basso, per cui anche ogni possibilità di attribuire al mio solito gin lemon tutta la colpa di questi trip è svanita con un soffio di vento. Accuso il colpo e mi assumo le mie responsabilità.
Dall'alto del mio cubo ballo e non penso a quello che mi capita attorno... mai stata una che va in discoteca per rimorchiare, per cui me ne sono sempre fregata della gente che mi circonda. Raramente mi faccio distrarre mentre ballo... più probabile che mi senta infastidita da chi cerca di attirare la mia attenzione, sono troppo concentrata sulla musica, e sul ritmo e sul sangue che mi ribolle dentro... ma qualcosa, o meglio qualcuno, mi cattura.
Tra l'orda di corpi che si muovono frenetici vedo aprirsi un varco e sbucare un ragazzino di 12/13 anni al massimo, con attaccato alla spalla, come se fosse un'appendice del suo corpo, il braccio della madre che lo guida impercettibilmente ma con sicurezza alla ricerca di un'uscita, e incredibilmente il braccio, piano piano, prende forma nella madre stessa: una brutta donna di mezza età, occhialuta, ricciolona e vestita a festa. Come se tutto ciò non fosse abbastanza surreale dietro la madre spunta un padre... classico romagnolo cinquantenne con tanto di pullver a scacchi e pelata sudaticcia.
Mi blocco. Una delle rare occasioni in cui qualcuno mi impedisce di continuare a ballare perchè la musica passa in secondo piano.
Una volta ripresa dallo shock il primo pensiero va al senso della loro presenza in un posto del genere e nonostante riesca a vincere il desiderio di andare da loro, fermarli e domandargli: "Scusate, ma voi cosa ci fate qui?" non riesco a frenare con altrettanta efficacia il flusso dei miei pensieri che in un vortice di pazzia, disagio mentale e fumo passivo ritrova l'immagine di un libro.
E adesso dove sei Ubaldo?!?
Reminescenza dell'infanzia in cui si passavano i pomeriggi a cercare l'improbabile Ubaldo all'interno di pagine strapiene di personaggi della dimensione di mezzo centrimento, in ambientazioni assurde, tra cavernicoli, pionieri del vecchio west e uomini spaziali, dove il povero Ubaldo, con la sua maglia a righe bianche e rosse e i suoi occhialetti, era sempre fuoriluogo, ed era proprio per questo che alla fine lo riconoscevi. Il veramente diverso in mezzo alla massa.
E il mio shock non è più dovuto al fatto che un'allegra famigliola si ritrovi nel bel mezzo della sala afro di una discoteca, ma al fatto che solo ciò che è fuoriluogo (e non posso definirlo in altro modo) riesce a catturare la mia attenzione. La massa è talmente uniforme che nessun singolo individuo, per quanto originale e alternativo, riesce a staccare ed emergerne.
Ma guarda te se a quasi 30 anni mi devo ritrovare il sabato sera in discoteca a giocare a E adesso dove sei Ubaldo?!?

mercoledì 24 febbraio 2010

L'ironia dei new media

Pomeriggio, momento di cazzeggio, chat di gmail…

In un momento in cui non me lo aspettavo affatto - come sempre accade del resto - sono rimasta folgorata da un’intuizione… com’è possibile che nell’epoca della società globale i nuovi media abbiano trasformato tanto il nostro modo di comunicare?

Non fraintendetemi, non mi stupisco dell’evolversi delle cose, né tantomeno sono una conservatrice, ma da buona sociologa, o da pazza paranoica, tutto dipende dai punti di vista, non posso fare a meno di osservare certi cambiamenti e cercare di comprenderli.

Il problema è che, in teoria, si presume che con l’avanzamento della tecnologia che supporta la comunicazione ci sia un parallelo avanzamento della comunicazione stessa… e invece no. Ossia, in realtà c’è un avanzamento ma verso una semplificazione e non verso un arricchimento.

Partiamo dalla base, o meglio dalle origini…

L’uomo preistorico non aveva altro mezzo per farsi capire se non un linguaggio totalmente fatto di gesti, d'interpretazione, di ricerca, di sensibilità verso l’altro. Con lo sviluppo della società l’uomo ha manifestato la capacità di creare un insieme di simboli condivisi (le parole), che non lasciassero spazio a fraintendimenti. Mela è per tutti gli italiani il frutto dell’albero delle mele.

Ora, nella nostra società non solo esiste una codifica uguale per tutte le persone che parlano una stessa lingua di certi segni, che ci contraddistingue dall'uomo delle caverne per un impoverimento della capacità interpretativa e drammaturgica, ma si va via via perdendo anche la capacità di comunicare attraverso gesti ed espressioni del corpo, e si tende a ridurre tutto a quel linguaggio fatto solo di pure parole che all’uomo preistorico non servivano neppure.

L’aprirsi di nuove possibilità e il progredire dei nuovi strumenti non ha fatto altro che inaridire il nostro modo di rapportarci con altri esseri umani, troppo spesso ciò che scriviamo perde tutta quella parte relazionale che sta dietro al significato delle parole, rendendo la nostra comunicazione solo un mero scambio semantico. Come può trasmettere la passione un “Ti amo” scritto via mail? Come può trasmettere l’emozione che danno un paio di occhi che brillano, il battito del cuore che accelera, il sorriso accennato che rivela il fremito che corre lungo la schiena mentre si pronunciano le fatidiche due paroline? E l’ironia… il sarcasmo… come potrà mai una chat riprodurre il tono della voce, l’inflessione... la cadenza? Senza poi parlare della mimica facciale e di tutto il linguaggio di un corpo quando si accalora per una cosa, quando si commuove, quando si emoziona… Com’è possibile che gli italiani, gesticolatori folli, assistano inermi alla diffusione cancerogena degli emoticons come sostitutivo dell’espressività non verbale?

Ok, di questo non mi stupisco più di tanto, sono anni che si parla dei limiti dei new media rispetto alla comunicazione non verbale, tuttavia mi sorprendo a trovare un’inquietante somiglianza tra questo modo di esprimersi e gli schemi comportamentali degli autistici.

Cosa voglio dire? Voglio dire che se una persona autistica prende tutto alla lettera perché i suoi schemi mentali gli impediscono di comprendere le sfumature del linguaggio, la comunicazione via chat ci rende tutti autistici, ci costringe tutti quanti alla riduzione della comunicazione a puro linguaggio. Che differenza c’è tra il non avere le capacità mentali e comportamentali di comprendere l’ironia che si cela dietro a un messaggio e il non avere gli strumenti per farlo?

A quanto pare l’ironia dei nuovi media è che l’unica cosa che non trasmettono è proprio l’ironia.